domenica 9 agosto 2009

Protocollo di Kyoto: e ora diamoci da fare


Il 16 febbraio, data storica per il nostro pianeta, è finalmentediventato operativo il protocollo di Kyoto. Dopo oltre 7 anni (ilprotocollo fu sottoscritto nel dicembre 1997) gli Stati contraentisaranno ora tenuti a rispettare gli impegni presi, e a ridurre leemissioni di gas serra, prime responsabili dei cambiamenti climaticidel nostro pianeta. Da questo momento, quindi, si fa’ sul serio. Eforse proprio per questo il nostro ministro Matteoli ha messo le maniavanti, dichiarando, al Cop 10 di Buenos Aires dello scorso dicembre,l’indisponibilità italiana ad una “Kyoto2”, una nuova fase di riduzioneconcordata delle emissioni.In effetti, al momento di passare ai fatti, non siamo ben messi. Saràperché, sotto sotto, si confidava nel fallimento dell’accordo (sullascia del boicottaggio da parte degli Stati Uniti), sarà perché da noil’ambiente è presente solo nei manifesti elettorali, ma mentre altriStati europei (essenzialmente Francia, Germania, Regno Unito e Svezia)facevano registrare un sensibile calo, l’Italia aumentava costantementele emissioni. In base agli impegni derivanti dal Protocollo di Kyoto,l’Italia avrebbe dovuto ridurre, entro il 2008-2012, le proprieemissioni di gas serra del 6,5% rispetto al 1990, passando da 508milioni di tonnellate di CO2 equivalenti a 475 MtCo2eq. Tuttavia, dopouna leggera flessione nel 1992-1994 (quando l’economia ha rallentato),le emissioni sono costantemente aumentate, arrivando a 553,8 MtCO2eqnel 2002. E la prospettiva è di un ulteriore incremento: il Rapporto Energia eAmbiente 2004, pubblicato dall’ENEA, indica per il 2010 uno “scenariotendenziale” (cioè realizzabile qualora non fossero adottate misurespecifiche) di 613,3 MtCO2eq (+ 21% rispetto al 1990) ed uno “scenariodi riferimento” (che tiene conto delle misure individuate al 30 giugno2002, anche se non ancora attuate) di 563,7 MtCO2eq ( + 11% rispetto al1990). Una traiettoria crescente che – conclude l’ENEA – rende“oggettivamente difficile” il rispetto degli impegni di riduzioneassunti al momento della ratifica del Protocollo di Kyoto.Tutto ciò, ovviamente, non sorprende. Nonostante tante dichiarazioniformali, è infatti noto che l’Italia non ha avviato vere strategiefinalizzate alla riduzione dei gas serra. La politica energetica, comeanche quella dei trasporti, sono andate avanti sui percorsi già noti,senza alcun approccio specifico finalizzato alla riduzione delleemissioni. Una solenne bocciatura meritano, su questo punto, tutti igoverni succedutisi, sia quelli di centrosinistra, sia quello dicentrodestra: sotto entrambi, infatti, le emissioni sonotranquillamente aumentate né sono state individuate strategie concretedi riduzione per il futuro. La stessa spesa per la ricerca energetica èincredibilmente calata, arrivando quasi a dimezzarsi tra il 1990 ed il2003.Costretti ora a fare sul serio, ci si muove ancora con lapreoccupazione prioritaria della salute dell’economia anzichédell’efficacia delle riduzioni. Con il risultato che le strategieproposte peccano di genericità, non incidono sugli aspetti strutturalidel nostro sistema energetico ed appare più che lecito dubitare delraggiungimento dell’obiettivo. Approvato nel 2002, il Piano nazionale per la riduzione delle emissionidi gas serra prevedeva tagli per 93 MtCO2 (ma già oggi sarebbero 100,7MtCO2) tramite misure nazionali ed internazionali. Sul piano nazionale,si confida in misure già avviate legate al campo energetico (sviluppodella cogenerazione, delle rinnovabili, incremento dell’efficienza,combustione dei rifiuti), ad un incremento della forestazione e adulteriori misure legate soprattutto ai trasporti. Tali misuredovrebbero incidere all’incirca per la metà dell’obiettivo.Per l’altra metà, si punta invece sui meccanismi di cooperazioneinternazionale previsti: in estrema sintesi, si acquistano “crediti dicarbonio o di emissione” comprando quote di paesi che hanno già ridottole loro emissioni (l’adesione della Russia era attesa anche su questopiano, visto che, avendo conseguito notevoli riduzioni, può vendere lesue quote) e finanziando progetti in paesi in via di sviluppo nel campoenergetico e forestale. Nella sostanza, una “furbata” che consente dicontinuare ad inquinare pagando altre nazioni affinché inquinino meno.E che ci fa rinunciare all’innovazione in Italia, con tutte leconseguenze positive, ambientali ma anche economiche ed occupazionali,che ne potrebbero derivare. Ma anche le misure nazionali destano perplessità. Per quanto si tratti,in genere, di misure teoricamente corrette (salvo qualche eccezione,come il puntare sulla combustione dei rifiuti come fonte d’energia), vadetto che si tratta di espedienti già noti ma che finora non hanno datoi frutti sperati. Fonti rinnovabili, risparmio energetico, efficienzadel sistema, svecchiamento del parco auto ecc. sono infatti soluzioniproposte da anni, in alcuni casi anche attuate, eppure le emissioninocive sono aumentate.Esemplare è il caso dei trasporti, un settore che incide per circa 1/3sulle emissioni globali di CO2. La sostituzione graduale delle autovecchie con modelli più nuovi, incentivata anche dallo Stato con icontribuiti alle “rottamazioni”, ed anche la scomparsa della vecchiabenzina a piombo a favore della “verde” o del gasolio, avrebbero dovutoridurre le emissioni del settore. Al contrario, queste sono aumentate,tra il 1990 ed il 2002, del 22,7% (è il settore che ha registrato ilmaggior aumento), a causa dell’incremento delle auto circolanti,aumentate tra il 1992 ed il 2002 di oltre 7 milioni, nonché dellapotenza media. Puntare, come promette Matteoli, sulla sostituzionedelle auto immatricolate prima del 1996 e sui biocarburanti, si riducead essere il solito, inutile favore all’industria automobilistica inperenne crisi. Al contrario, andrebbero prese misure per dissuadere lagente dall’utilizzo dell’auto, per disincentivare le auto che piùconsumano (altro che SUV, le cui vendite sono in costante crescita!),per favorire i produttori che veramente realizzano auto a basso consumo(come la Smile, progettata per conto di Greenpeace fin dal 1996, e cheha consumi dimezzati rispetto alle auto similari). E andrebbescoraggiato il trasporto su strada, a favore delle rotaie e del mare.Ma provvedimenti di tale portata non sono sull’agenda del ministroMatteoli.Discorsi simili possono essere fatti anche per le altre misureproposte. Pensare alle fonti rinnovabili in mera funzione aggiuntivaall’attuale produzione da fonti fossili, è ovviamente inutile. Ma èimpensabile anche vederle in funzione sostitutiva: idroelettrico egeotermico sono già sfruttati all’osso, solare ed eolico rimangono alivelli minimali, l’idrogeno è solo una promessa futura. E allora, afianco allo sviluppo dell’energia “pulita”, si deve puntarenecessariamente ad una maggior efficienza nel processo produttivo.Maggiore efficienza che è a portata di mano, applicando lacogenerazione e i cicli combinati. E invece ci tocca assistere alledichiarazioni idiote di chi propone l’utilizzo del carbone (!) e chigioisce perché i consumi energetici aumentano!Maggiore efficienza nella produzione ma anche nell’utilizzodell’energia. Si stima che adottando tecnologie più efficienti nellenostre case si potrebbe ottenere un risparmio di 140-150 TWh (circa lametà della domanda complessiva). Il vantaggio sarebbe enorme, sul pianoambientale ma anche su quello economico, anche alla luce del costodell’energia in Italia, che è tra i più alti. Eppure, le prime legginazionali sul risparmio energetico sono del 1991: prevedevanocertificati energetici per le abitazioni, criteri di risparmiovincolanti per la costruzione e ristrutturazione degli edifici pubblicie privati, finalità di riduzione dell’energia obbligatorie negliappalti della Pubblica Amministrazione ecc. Di tutto questo, poco èstato realizzato, e le nostre case consumano in media per riscaldarsidai 150 ai 200 kWh per metro quadro annui, contro i 70 previsti comemassimo dalla normativa tedesca. Ciò che manca, non sono le soluzioni, tecniche e normative. A mancare,finora, è stata la volontà di affrontare il problema delleemissioni, di farne una priorità da risolvere. Quando ci si è mossi, èstato perché costretti dalle emergenze: i livelli di smog nelle città,il caro-bolletta del petrolio, il rischio black-out. Per il resto, adettare le scelte sono stati i soliti idoli, a partire dalla continuacrescita e dallo sviluppo. I cambiamenti climatici, seppur sempre piùavvertiti nella coscienza e nell’esperienza comune, rimanevano sullosfondo. Ora Kyoto ci impone il problema: le emissioni vanno ridotte.Provvedimenti tampone o di corto respiro non servono, è necessario unsalto di qualità, la volontà di affrontare il problema ambientale insé. Solo con questa diversa prospettiva, potremo contribuire a salvareil pianeta.

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